Storia della Riserva

Alla fine degli anni Ottanta, in un incontro pubblico alla presenza di diversi amministratori del Medio Sangro per bloccare un progetto di captazione delle acque del torrente Rio Verde, che avrebbe portato alla totale scomparsa delle cascate omonime nel territorio di Borrello, fu determinante il colloquio con il sindaco di Rosello dell’epoca da cui nacque l’idea di istituire un’area protetta nel proprio territorio.

Era già noto, infatti, ma solo agli addetti ai lavori, la presenza di uno straordinario bosco di abeti già citato e segnalato dalla Società Botanica Italiana, dall’ex Ministero dell’Agricoltura e Foreste, da università e studiosi in genere. Pertanto, grazie all’impegno da parte dell’Amministrazione comunale di Rosello, nel giro di pochi mesi dal fortunato incontro si posero le basi per tutelare il bosco, e nell’ottobre del 1992 venne ufficialmente inaugurata un’Oasi di Protezione della Fauna istituita dalla Provincia di Chieti. Successivamente, la Regione Abruzzo, con Legge Regionale n. 109 del 23 settembre 1997, istituiva sulla stessa area ma ampliata a 211 ettari, la Riserva Naturale Regionale Guidata “Abetina di Rosello”. Nello stesso anno l’Abetina venne anche inclusa all’interno del più ampio SIC/ZSC IT7140212 della Rete Natura 2000, aree tutelate da Direttive dell’Unione Europea.

Storia delle abetine

I boschi ad abete bianco sono relativamente comuni nell’area alpina, frequenti e distribuiti in modo discontinuo, sulla catena appenninica hanno invece una presenza inconsueta e localizzata. Nell’Appennino centrale l’abete è attualmente presente in due aree principali: nell’Abruzzo teramano, sui Monti della Laga e sul versante settentrionale del massiccio del Gran Sasso e nell’area al confine tra l’Abruzzo meridionale interno e l’Alto Molise, zona che include anche l’Abetina di Rosello.

Quest’ultima, però, rappresenta l’area di maggior rilievo per l’abete bianco, compresa tra l’alto corso del Trigno e il medio bacino del Sangro, in cui i vari nuclei, anche se interrotti da pascoli e aree cespugliate, formano un complesso quasi unico a testimonianza di una più vasta abetina. Queste aree rappresentano i boschi relitti di ecosistemi forestali con abete bianco, un tempo molto più estesi, sia in formazioni pure che miste al faggio, e delineano oggi associazioni vegetali prioritarie in base alla Direttiva Comunitaria “Habitat”. I boschi tra Abruzzo e Molise hanno rappresentato delle vere e proprie aree di rifugio consentendo alla specie di superare la grande crisi dell’ultimo periodo glaciale e da qui sarebbero ripartite la riespansione dell’abete bianco e la ricolonizzazione verso il nord della penisola. Questi boschi sono peraltro costituiti dalla razza più meridionale di abete bianco, già descritta negli anni trenta del secolo scorso come varietà apennina, ed oggi riconosciuta, sulla base di indagini genetiche, come stirpe differente da quelle dell’Appennino settentrionale e delle Alpi.

 

Storia dell’Abetina di Rosello

Nella fascia centrale degli Appennini la documentazione storica attesta una distribuzione delle abetine ben più rilevante di quella attuale. Di queste presenze vi è conferma in autori e viaggiatori del Settecento e Ottocento e in numerosi documenti conservati negli archivi. Anche il bosco di Rosello era ben noto in passato, e ne sono testimonianza due importanti documenti. In un verbale di verificazione dello stato del bosco di Fonte Volpuna, questo l’antico nome dell’Abetina di Rosello, redatto nel maggio del 1858, la Guardia generale del Distretto Forestale elencava soltanto tra gli alberi di alto fusto un totale di oltre 2.500 abeti con un diametro compreso tra 80 e 120 cm e con un’età variabile da 80 a 200 anni. Inoltre l’Inchiesta Agraria Jacini (1877-1885) tra i pochissimi boschi descritti nel circondario di Lanciano citava anche quello di Fonte Volpuna di Rosello. Dell’800 si conservano diverse mappe, furono redatti piani di assestamento forestali, tuttora all’avanguardia in Italia, con una tipologia di taglio a spicchi, alcuni addirittura proposti dal fratello del più noto Michele Tenore. Negli anni

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RISERVA NATURALE

In Italia, infatti, i boschi ad abete bianco sono relativamente comuni nell’area alpina, frequenti e distribuiti in modo discontinuo, sulla catena appenninica hanno invece una presenza inconsueta e localizzata. Nell’Appennino centrale l’abete è attualmente presente in due aree principali: nell’Abruzzo teramano, sui monti della Laga e sul versante settentrionale del massiccio del Gran Sasso e nell’area al confine tra l’Abruzzo chietino e l’Alto Molise.

Quest’ultima, però, rappresenta l’area di maggior rilievo per l’abete bianco, compresa tra l’alto corso del Trigno e il medio corso del Sangro, in cui i vari nuclei, anche se interrotti da pascoli e aree cespugliate, formano un complesso quasi unico a testimonianza di una più vasta abetina. Queste aree rappresentano i boschi relitti di ecosistemi forestali con abete bianco, un tempo molto più estesi, sia in formazioni pure che miste al faggio, e delineano oggi associazioni vegetali prioritarie in base alla Direttiva Comunitaria “Habitat”. I boschi tra Abruzzo e Molise hanno rappresentato delle vere e proprie aree di rifugio consentendo alla specie di superare la grande crisi dell’ultimo periodo glaciale e da qui sarebbe ripartito il ripopolamento dell’abete bianco e la riespansione verso il nord della penisola. Questi boschi sono peraltro costituiti dalla razza più meridionale di abete bianco, già descritta negli anni trenta come varietà apennina, ed oggi riconosciuta, sulla base di indagini genetiche, come stirpe differente da quelle dell’Appennino settentrionale e delle Alpi. Nella fascia centrale degli Appennini la documentazione storica attesta una distribuzione ben più rilevante di quella attuale.

Di queste presenze vi è conferma in autori e viaggiatori del Settecento e Ottocento e in numerosi documenti conservati negli Archivi. Anche il bosco di Rosello era ben noto in passato e ne sono testimonianza due importanti documenti. In un verbale di verificazione dello stato del bosco di Fonte Volpuna, questo l’antico nome dell’Abetina di Rosello, redatto nel maggio del 1858, la Guardia generale del Distretto Forestale elencava soltanto tra gli alberi di alto fusto un totale di oltre 2.500 abeti con un diametro compreso tra 80 e 120 cm e con un’età variabile da 80 a 200 anni. Inoltre l’Inchiesta Agraria Jacini (1877-1885) tra i pochi boschi descritti nel circondario di Lanciano citava quello di Fonte Volpuna di Rosello. Dell’800 si conservano diverse mappe, furono redatti piani di assestamento forestali, tuttora all’avanguardia in Italia, con una tipologia di taglio a spicchi, alcuni addirittura proposti dal fratello del più noto Michele Tenore. Negli anni ’50 del secolo scorso il bosco è stato visitato e studiato da botanici famosi, tra questi E. Schmid, A. Famiglietti e L. Susmel. Il primo di questi pare abbia avuto la prima intuizione per la formulazione della teoria dei cingoli forestali proprio ispirandosi al bosco di Rosello e territori limitrofi. Susmel nel suo ampio studio, nel descrivere l’Abetina di Rosello riferisce: “ha l’aspetto selvaggio di selva fitta e scura che con la maestosità degli alberi incute paura al solo entrarvi”.

L’Abetina, che conserva ancora oggi la sua integrità, probabilmente è stata risparmiata da tagli e depauperamenti per la scarsa praticabilità del bosco, situato in una forra, e per la presunta scarsa qualità del legno. Le recenti ricerche da parte di diverse Università italiane ed europee hanno confermato che a Rosello sono presenti associazioni vegetali uniche e specie floristiche rare. La Riserva ha un’estensione di 210 ha, oltre ad una fascia di protezione esterna di ulteriori 800 ha, a sua volta ricompresa all’interno di un’area SIC di poco più di 2.000 ha che include anche la limitrofa Riserva Regionale delle Cascate del Verde di Borrello. Il territorio dell’area protetta si sviluppa prevalentemente su due versanti opposti, molto acclivi, dove al centro scorre il torrente Turcano, affluente di sinistra del Sangro, formando in tutta la lunghezza di attraversamento del bosco una vera e propria forra.

L’altitudine varia dai circa 800 m s.l.m. del torrente ai circa 1.200 m di Monte Castellano e Monte La Rocca, con altri rilievi che superano di poco i 1.000 m. La quasi totalità della Riserva è ricoperta dal bosco, mentre ad est e soprattutto a sud, nel tratto a confine con il Molise, si estendono ampi pascoli, negli ultimi anni sempre più invasi da arbusti, a seguito della riduzione degli animali domestici. La straordinaria diversità ambientale e il livello di conservazione dell’area sono stati riscontrati di recente nel corso della redazione del Piano di Gestione del SIC, sono elencati ben 14 habitat di interesse comunitario e di questi 5 prioritari per l’Unione Europea. Per queste peculiarità, l’Abetina di Rosello, insieme ad altre formazioni forestali simili del Centrosud Italia, tutte aree SIC, fu scelta per attivare un Progetto LIFE inteso a salvaguardare le ultime testimonianze di una vegetazione di estremo rilievo sul piano fitogeografico e selvicolturale. Il progetto, che ha avuto una durata quinquennale, a partire dal 1997 al 2001, ha coinvolto i nuclei di abetine considerati tra i più rappresentativi dell’Appennino centro-meridionale, distribuiti in Abruzzo, Molise e Basilicata.

Si tratta, peraltro, di cenosi situate in corrispondenza di aree rifugiali che già avevano consentito all’abete bianco di superare la grande crisi dell’ultimo periodo glaciale.

 

Flora

Nell’Abetina di Rosello, da un punto di vista fitosociologico, si possono distinguere diverse tipologie, si passa dalla cerreta alla faggeta, dall’abieti-faggeta al bosco misto mesofilo. Quest’ultimo rientra nella caratteristica dei boschi montani e submontani temperato-freschi in ambiente di forra, abbondante lungo i versanti molto acclivi della stretta valle del torrente Turcano che divide a metà la Riserva, con una netta dominanza di alberi mesofili “nobili”, come aceri (ben 6 diverse specie), tigli, frassino maggiore, olmo montano, carpino bianco, formazione riferibile all’alleanza Tilio-Acerion, habitat prioritario ai sensi della Direttiva comunitaria. Grazie alle recenti ricerche fitosociologiche, per le cenosi di Rosello a dominanza di abete bianco ed acero di Lobelius,

specie quest’ultima molto rara e che raggiunge proprio qui il limite più settentrionale, è stata descritta una nuova subassociazione ad Abies alba dell’Aceri lobelii-Fagetum. In questo bosco è possibile rinvenire ancora oggi una flora ricca di elementi di origine terziaria che ne testimoniano l’ancestralità. Infatti, in queste aree l’abete si associa non tanto ad elementi boreali, come sulle Alpi, quanto piuttosto a specie (spesso con habitus sempreverde) di ambienti sub-tropicali, così come avviene in contesti montuosi di più bassa latitudine (Sicilia, Grecia, Turchia e Spagna). L’Abetina di Rosello rappresenta un mirabile esempio di foresta colchica montana, caratterizzata da una eccezionale ricchezza floristica e dendrologica, con specie come le sempreverdi laurofille, che testimoniano formazioni relitte altrove scomparse a seguito delle glaciazioni. Nella cenosi, ascrivibile dal punto di vista fitosociologico al Geranio striati-Fagion, si rinvengono in abbondanza specie rare o di particolare interesse fitogeografico come il tasso (Taxus baccata), l’agrifoglio (Ilex aquifolium), il faggio a foglie larghe (Fagus moesiaca), il pungitopo maggiore (Ruscus hypoglossum), la Daphne laureola, l’iperico arbustivo (Hypericum androsaemum), la fusaggine a foglie larghe (Evonymus latifolius), il baccaro (Asarum europeum subsp. italicum), il Ribes multiflorum, l’acero di Lobelius (Acer cappadocicum subsp. lobelii) e la Festuca drymeia (queste ultime endemiche dell’Italia centro-meridionale dove raggiungono il limite settentrionale del loro areale). Vi sono inoltre piccoli ambienti umidi, anch’essi legati alla presenza di un bosco intatto, che offrono le condizioni ecologiche ideali per alcune interessanti e rare piante quali Lathyrus nissolia, Lamium galeobdolon e l’enula campana (Inula helenium). Nei pascoli che circondano il bosco degne di nota sono le fioriture di orchidee, con specie rare come l’Epipactis purpurata, l’Ophrys insectifera, l’O. promontorii e la Dactylorhiza incarnata. Interessanti anche alcune fitocenosi palustri, rappresentate da saliceti a Salix cinerea e da formazioni particolari a Carex paniculata, probabilmente riconducibili ai magnocariceti presenti nei vicini Altipiani Maggiori.

La flora vascolare, tuttora in corso di studio, solo per i 200 ha di estensione della Riserva, annovera oltre 500 specie e tra queste si contano circa 100 specie di alberi ed arbusti, una diversità dendrologica straordinaria. Nell’ambito delle ricerche botaniche, con il progetto “Azioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità” finanziato dalla Regione Abruzzo, sono stati condotti altri due studi specifici, uno sui funghi con un elenco di circa 400 specie e uno sulla flora lichenica per un totale di 110. Alla notevole abbondanza di specie si aggiunge anche la rarità e soprattutto il fatto che molte entità sono indicatrici di una elevata necromassa (legno morto e poderosi tronchi sia a terra che in piedi) nonché la presenza di numerosi grandi alberi e l’alta disetaneità che dimostrano che si tratta di un vero e proprio bosco vetusto, siamo cioè in presenza di quella che viene definita “old-growth forest”. Ne sono testimonianza specie uniche di elevato valore fitogeografico come il lichene pulmonario (Lobaria pulmonaria), un’entità simbolo di una foresta matura, e ben conservata.

Nel complesso si sono rinvenute 88 specie epifite o lignicole, 2 terricole e 20 sassicole e l’indagine ha portato alla scoperta di 14 specie di prima segnalazione per l’Abruzzo, 1 nuova per l’Italia centrale, la Chaenotheca brachypoda, e la Verrucaria elaeomelaena, un lichene acquatico che si sviluppa soprattutto su rocce carbonatiche, nuovo per l’Italia e l’Europa centro-meridionale.

Fauna

Per ciò che riguarda la fauna, il comprensorio solo di recente è stato oggetto di studi approfonditi, confermando una diversità biologica tanto elevata per un territorio limitato. Basti pensare che si contano oltre 40 specie di mammiferi, 140 di uccelli, 11 di anfibi e 10 di rettili, oltre 600 di coleotteri, circa 400 di farfalle notturne e 58 di molluschi terrestri.

Questi numeri sono senz’altro destinati ad aumentare se si considera che solo tra i Carabidi è stata riscontrata la maggior parte delle specie conosciute nel Centro Italia; tra queste alcune di particolare

significato biogeografico, come il Carabus granulatus interstitialis e il Carabus alisidotus che segnano il limite più meridionale di distribuzione.

Sono segnalate all’interno del comprensorio anche due specie prioritarie di cerambicidi ai sensi della Direttiva Habitat, il Cerambix cerdo e la Rosalia alpina. A queste è da aggiungere anche la presenza nel bosco di Rosello del coleottero buprestide Eurythyrea austriaca, tipico insetto xilofago caratteristico delle formazioni ad abete bianco appenninico.

Sono da segnalare lungo il corso del torrente Turcano e soprattutto in quasi tutto il corso del Rio Verde, le popolazioni più importanti nel comprensorio di gambero di fiume (Austropotamobius pallipes) e di granchio di fiume (Potamon fluviatile), crostacei che altrove hanno subito radicali contrazioni dovute principalmente all’inquinamento delle acque e alle riduzioni di portata dei corsi fluviali. Per tali motivi da qui è partita l’idea di un Progetto Life, concluso lo scorso anno e che ha avuto una durata complessiva di 5 anni.

La ricchezza di acque superficiali e l’elevata umidità nel bosco contribuiscono a una presenza diffusa di anfibi, ne troviamo ben 11 specie, di cui 5 di urodeli e 6 di anuri. Interessante la presenza della salamandrina dagli occhiali settentrionale o di Savi (Salamandrina perspicillata), una delle due specie endemiche dell’Italia peninsulare, la cui distribuzione, concentrata sul versante tirrenico, è più localizzata sul versante adriatico e proprio nelle aree interessate dalla presenza di boschi con abete bianco tra Abruzzo e Molise si riscontrano le popolazioni più numerose.

Presenti anche tre specie di tritoni: il tritone crestato, il tritone appenninico e il tritone punteggiato. Tra gli Anuri, la rana agile, la raganella italica e la rana rossa appenninica, nonché una piccola popolazione di ululone dal ventre giallo appenninico (Bombina pachypus). Numerosi anche i rettili con ben 10 specie, tra queste vanno segnalate due a limitata distribuzione o con popolazioni in regressione come la luscengola e il cervone. Inoltre Rosello rappresenta il limite settentrionale del saettone occhi rossi (Zamenis lineatus). Per questi motivi, su segnalazione della SHI (Societas Herpetologica Italica), l’Abetina di Rosello è stata inclusa tra i siti A.R.E.N. (Aree di Rilevanza Erpetologica Nazionale) individuati dalla Commissione Conservazione.

L’ambiente integro e la diversità degli habitat influiscono sulla presenza dell’ornitofauna, particolarmente ricca e diversificata; alle specie nidificanti si aggiungono quelle di passo e svernanti, o che frequentano le aree solo per la caccia e l’alimentazione. Il quadro avifaunistico comprende circa 140 specie sinora rilevate. Le specie di cui è stata accertata la nidificazione sono quasi 100 e rappresentano il 40% dell’intera avifauna nidificante nel territorio nazionale. Tra i rapaci nidificano specie di elevato valore ecologico, il nibbio reale, il biancone e il falco pecchiaiolo. Le entità più importanti sono quelle legate a boschi misti vetusti, come la presenza di tutte e sette le specie di picchio dell’Appennino, tra cui i più rari picchio nero, picchio dorsobianco e picchio rosso mezzano, tutte specie a carattere relittuale e ottimi indicatori ambientali, o quelle specie legate alle foreste tipiche dei climi temperato-freddi, come la colombella, la cincia bigia alpestre, la balia dal collare, il regolo e il rampichino alpestre, anch’essi nidificanti nell’area.

Specifici studi sulle comunità avifaunistiche hanno fornito dati interessanti sulla distribuzione e la densità delle diverse specie. Le densità più elevate sono state riscontrate per fringuello, merlo, fiorrancino e tordo bottaccio. Tra le specie subdominanti se ne rilevano diverse strettamente legate a

boschi con conifere e con notevole diversità strutturale: luì piccolo, luì verde, luì bianco, cincia mora, ciuffolotto, pigliamosche, codibugnolo, rigogolo e cuculo. Lungo il corso del torrente Turcano nidifica il merlo acquaiolo (buon indicatore dello stato di conservazione dei corsi d’acqua),

mentre nei pascoli e negli arbusteti ai margini del bosco si possono osservare lo zigolo giallo, lo zigolo nero, lo strillozzo, la tordela, il saltimpalo e più raramente lo stiaccino e il codirossone.

Le formazioni residue ad abete bianco situate fra l’Abruzzo e il Molise rappresentano anche uno degli ultimi siti certi di presenza storica della lince in Italia. Un esemplare femmina venne ucciso nei pressi di Borrello (CH) alla metà del XIX secolo (1845), come riferito in un carteggio dal famoso zoologo O. G. Costa al quale erano state donate delle pelli, dietro rapporto al Ministero dell’Interno da parte del Soprintendente di Chieti. Negli ultimi anni sono state raccolte diverse osservazioni del felino nel comprensorio delle abetine a confine tra l’Abruzzo e il Molise. Anche l’orso bruno marsicano rientra nell’elenco dei mammiferi presenti nel comprensorio, ma le osservazioni sono rare e sporadiche, in quanto le abetine risultano al margine dell’areale di distribuzione.

Nel corso di quest’anno un individuo è stato ripetutamente osservato e fotografato con l’uso di fototrappole nelle aree integrali della Riserva. La presenza di esemplari in queste zone è dovuta a sporadici spostamenti del plantigrado, alla ricerca di cibo, dalle vicine zone dell’Alto Molise prossime alle Mainarde e dai Monti Pizzi e Secine, sull’altro versante del fiume Sangro, in cui risulta stabilmente presente.

Il lupo è una specie stabile sia all’interno della Riserva che nei boschi limitrofi, comunque su tutto il comprensorio tra Abruzzo e Molise dove da sempre ne è stata documentata la presenza. Tra gli altri carnivori meritano menzione le discrete popolazioni di gatto selvatico e martora. Più comuni risultano la volpe, la faina, la donnola, il tasso, la puzzola e lo scoiattolo meridionale. Tra gli altri ungulati oltre al comune cinghiale, il capriolo risulta diffuso con una buona densità e da qualche anno anche il cervo è ormai una presenza costante nell’intero territorio. La stabilizzazione di queste ultime due specie è probabilmente dovuta alla realizzazione nel 1995 nell’Abetina di un’area faunistica di circa 4 ha, dove in passato sono stati ospitati caprioli ed attualmente cervi, che ha avuto un effetto calamita, attirando nell’area protetta le popolazioni selvatiche. Il popolamento dei micromammiferi è ancora scarsamente conosciuto, dal 2006 invece è stato avviato un progetto di monitoraggio sui chirotteri, che ha portato all’identificazione di 12 diverse specie, di queste ben 8 elencate negli Allegati delle Direttive europee. La gran parte di esse, come il barbastello, la nottola ed i vespertili, sono strettamente legate ad ambienti forestali vetusti, a dimostrazione, ancora una volta, dell’elevato valore naturalistico e conservazionistico dell’Abetina di Rosello.